Sembrava che la notizia della ripartenza della stagione regolare fissa per il 31 luglio, poi anticipata al 30 luglio a Orlando, arrivata dopo annose discussioni e tanti mesi di trattative e organizzazione, potesse mettere tutti d’accordo e ridare ai tanti tifosi un po’ di basket giocato che sarebbe dovuto culminare con le NBA Finals tra settembre e ottobre.
Una modifica importante nel calendario, un’attesa ancora lunga per la ripartenza, ma forse l’unico modo per riuscire a rendere possibile lo spostamento di tutto il carrozzone NBA, cercando di mantenere le misure di sicurezza imposte dalla pandemia di CoVid19.
Ed invece al momento sembra che l’NBA abbia un problema ancora più grande rispetto al virus (che negli Stati Uniti viste le tante riaperture nonostante i dati ancora molto alti, sembra essere considerato meno grave di qualche tempo fa): il razzismo e la questione sociale che da giorni sta portando un numero incredibile di persone in strada a protestare.
#NBA – Kyrie #Irving si fa di colpo paladino contro le ingiustizie sociali e il razzismo tenendo una call con oltre 80 giocatori per ribadire la volontà di moltissimi di loro di non ricominciare la stagione a Orlando a causa delle rivolte razziali di questo giorni.
— Basketcaffe.com (@Basketcaffe) June 13, 2020
Irving paladino della giustizia
Il voto unanime di settimana scorsa per la ripresa delle partite a Disney World promulgato dall’associazione giocatori della NBA evidentemente, stando alla “bomba” esplosa nelle ultime ore, non era così unanime. Secondo quanto riferito da diversi media USA infatti Kyrie Irving, uno dei sei vice-presidente della NBPA, si è fatto paladino di oltre 80 giocatori che non hanno potuto (o voluto per chissà quale motivo) far valere la propria voce, dichiarandosi profondamente contrario alla ripartenza della NBA a Orlando perché c’è il timore che tornare in campo possa togliere forza al movimento che si sta battendo per la riforma della giustizia sociale e le ineguaglianze razziali negli Stati Uniti.
Sembra difficile comprendere perché adesso giocare potrebbe essere un danno alla lotta contro il razzismo, mentre a gennaio o lo scorso anno non lo fosse. Chiaramente la morte di George Floyd e le tante manifestazioni (e le repressioni della polizia) hanno portato a galla negli Stati Uniti un problema enorme che per anni è rimasto sempre presente ma sottotraccia, ma il senso di bloccare l’intera ripartenza per evitare che venga sviata l’attenzione sembra piuttosto insensato.
Che è un po’ anche il pensiero di LeBron James, la cui posizione è sempre stata quella di voler tornare a giocare non ritenendola in contrapposizione al suo impegno sociale, anzi, per poterla rendere se possibile un megafono proprio su questi importantissimi e delicati temi.
Kyrie Irving told NBA players on call Friday, sources tell @TheAthleticNBA @Stadium: "I don’t support going into Orlando. I’m not with the systematic racism and the bullshit. Something smells a little fishy."
— Shams Charania (@ShamsCharania) June 13, 2020
Il CoVid19 non è sparito
A tutto questo c’è da aggiungere il problema del virus che negli USA è più vivo e forte che mai. I casi di nuovi malati e morti è sempre molto alto, e se Silver sembrava aver trovato un modo per “gestire” la cosa costruendo una bolla a Orlando dove solo i giocatori, lo staff e gli addetti potevano accedere, Disney World ha fatto sapere che i loro lavoratori potranno comunque continuare ad entrare e uscire liberamente dalla “bolla”, di fatto, distruggendola.
Ecco che quindi ci sarà da trovare un’altra soluzione, oltre al fatto che alcuni giocatori si sarebbero dichiarati contrari anche a essere “sequestrati per 3 mesi in un unico posto” visto il momento che sta vivendo il paese.
A "significant" number of players are disappointed they couldn't vote on the NBA restart.
Some questioned the optics of quarantining a predominantly black league for up to 3 months, and about 150 players will talk tonight to unify their stance.
(per @ChrisBHaynes, @TaylorRooks) pic.twitter.com/UZv5KL7CxY
— Bleacher Report (@BleacherReport) June 12, 2020
Adam Silver ad un bivio
Ha gestito male tutte 4 le grandi problematiche che ha vissuto da quando è Commissioner (va detto che ha avuto anche un po’ di sfortuna visto quanto ravvicinate sono state tra loro): China-gate, morte di Kobe Bryant, CoVid19 e ora problemi razziali. Adam Silver si trova davanti a bivio e dovrà prendere decisioni importanti: continuare sulla sua strada potrebbe voler dire arrivare a uno scontro con una parte dell’Associazione giocatori che ormai, di fatto, controlla in toto la Lega dal campo al mercato. Sicuramente cercherà di trovare un dialogo e far rientrare il problema, magari facendo leva su quanti soldi verranno persi in caso di mancata ripartenza, anche per i giocatori (soprattutto quelli più giovani o con contratti meno ricchi di quelli di Kyrie Irving ad esempio).
Sta di fatto che il suo mandato finora è stato un semi disastro, la Lega sembra fuori controllo e lui non sembra essere più così in grado di gestirla. Ricominciare a Orlando, finire questa stagione e poi riuscire a organizzare la prossima sarà decisivo probabilmente anche per il suo futuro. Perché in caso di altri problemi, ulteriori rinvii o addirittura se non si riuscisse ad arrivare a un accordo con i giocatori per ricominciare, potrebbe essere davvero arrivato il momento per Silver di farsi da parte dando la possibilità a qualcun altro di provare a rimettere in riga questa Lega.