Da Doncic a Ayton via Bridges: il Draft 2018 e le estensioni di contratto

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Il Draft rappresenta da sempre l’occasione, per ogni franchigia, di stravolgere il proprio destino. Cosa sarebbero stati i Bulls se non avessero scelto Jordan? Chi sarebbe diventato Larry Bird se fosse capitato in un contesto diverso da quello dei Celtics? Come sarebbe cambiato lo scorso ventennio se gli Hornets non avessero scambiato Kobe ancor prima di fargli giocare un minuto?
Per pescare il giocatore giusto dalla classe draft c’è bisogno di progettualità, di scouting e di fortuna. Oltre a questi aspetti ve ne è uno che aumenta per i GM le probabilità di fare la scelta giusta: la qualità della classe Draft.

Non tutte le annate sono uguali e se ripercorriamo la storia dei draft si può notare una certa disparità tra alcune classi (2003 o 1992) ed altre (2000 o 1973) a seconda dei livelli ai quali sono arrivati i vari giocatori scelti.
Nel 2018 abbiamo assistito ad uno dei migliori draft del nuovo millennio e adesso, per le varie franchigie, è arrivato il momento di decidere se confermare o meno l’ investimento fatto 3 anni fa.

Contratti rinnovati tra dubbi e certezze

Il 21 giugno 2018 sono entrati a far parte dell’NBA due talenti generazionali che hanno mostrato sin dal primo minuto di poter ambire ad un contratto al massimo salariale. Luka Doncic e Trae Young hanno stravolto il futuro di Mavericks e Hawks che non hanno mai avuto dubbi sull’affidare a questi giovani fenomeni le chiavi della squadra e della franchigia. 207 milioni in 5 anni per il primo e 172 milioni in 4 anni per il secondo sono solamente la sacrosanta dimostrazione di fiducia e stima nei loro confronti.
Oltre alle scontate firme delle scelte 3 e 5 di quel draft, sono arrivate anche estensioni che, di partenza, troppo scontate non erano. Il talento più brillante ed elettrizzante è probabilmente Gilgeous-Alexander, mostratosi ai Clippers prima e nella desolante OKC poi si è meritato 172 milioni garantiti per i prossimi 5 anni.

Ancor meno scontate altre firme come quelle di Jaren Jackson Jr (Memphis), Wendell Carter Jr (Orlando) e Michael Porter Jr (Denver). Per quanto riguarda i primi due, il rischio è quello di aver concesso buona parte dello spazio salariale futuro per atleti che non hanno ancora mostrato il proprio potenziale anche a causa di una scarsa tenuta fisica.
Per l’ala di Denver invece il discorso è più ampio. Il talento è lì tutto da vedere, i miglioramenti sono stati evidenti e l’importanza all’interno del roster è ormai fuori discussione. Il problema sta nel capire se Porter Jr (ed i suoi 145 milioni in 5 anni) possa sposarsi con altre due superstar come Murray e soprattutto Jokic per poter puntare al titolo. Ad ora la risposta è no, troppe le lacune difensive lasciate da questi 3 giocatori per poter competere ad altissimi livelli, ma il tempo è dalla loro parte (23 anni Porter, 24 Murray e 26 Jokic) e l’intenzione di Denver sembra essere quella di costruire intorno ai suoi 3 pilastri.

Ayton a due facce non convince i Suns

Arriviamo adesso a coloro che, per motivi diversi, non hanno consolidato il sodalizio con la propria franchigia e che a fine anno si ritroveranno restricted free agent.
Il caso più eclatante e sorprendete è quello di DeAndre Ayton, prima scelta al Draft e centro titolare dei Phoenix Suns. Non più tardi di 6 mesi fa il rinnovo del bahamense era oggetto di discussione e di dibattito poichè troppi intoppi avevano ostacolato la carriera di quello che, potenzialmente, potrebbe essere uno dei lunghi più dominanti della lega. Entrato in NBA con mille aspettative e con il fardello della numero 1, Ayton è stato sulle prime pagine dei quotidiani più per le sue vicende fuori dal campo che per le proprie abilità nel parquet.
Infortuni, incomprensioni, scarsa mentalità e la ciliegina sulla torta rappresentata dalla sospensione per doping nel 2019 hanno eclissato talento e potenzialità.

Gli ultimi playoff, in cui i Suns sono arrivati a 2 vittorie dal titolo, hanno rimesso in luce l’importanza e la dominante forza fisica di Ayton, pilastro centrale per il gioco di coach Monty Williams. Pick and roll continui con Paul e Booker, rimbalzi offensivi ed una difesa estenuante del ferro hanno reso il bahamense la vera carta in più per la scalata verso le Finals. Durante la serie con Milwaukee qualcosa però si è inceppato e, dopo le prime due vittorie, Ayton è stato letteralmente surclassato da quella furia greca chiamata Giannis.

Vedendo le sue prestazioni migliorare esponenzialmente e soprattutto vedendo il trattamento riservato a Luka e Trae, la prima scelta al draft si è sentita in dovere di pretendere anche per lui il massimo salariale (173 milioni in 5 anni). La dirigenza dei Suns però non è mai sembrata convinta di andare all-in su un giocatore così discontinuo ed il 18 ottobre ha confermato la volontà di non firmarlo e di aspettare la free agency. Vedremo adesso se Ayton subirà questa mancanza di fiducia o se la sfrutterà come stimolo per mantenere il rendimento dei Playoff e far ricredere la dirigenza dei Suns.

Bagley III e il disastro dei Kings

Se per la scelta numero 1 il nodo cruciale è stata la distanza tra la cifra proposta e la cifra richiesta, per la scelta numero 2 la situazione ha del paradossale.
Marvin Bagley III è stato selezionato con la seconda pick al Draft del 2018 dai Sacramento Kings che lo hanno preferito ai già citati Doncic e Young. Fisico scultoreo, atletismo straripante e tecnica discreta sono state le qualità che hanno colpito la dirigenza dei Kings che lo ha però inserito in un contesto a dir poco imbarazzante. Una società che non vede i playoff dalla stagione 2006-2007 e che registra ogni anno un record negativo non è certo il miglior luogo per permettere ad una matricola di mettersi in mostra e di crescere. Se a questo ci aggiungiamo una particolare tendenza agli infortuni ed una scarsissima tenuta mentale quel che otteniamo è l’ennesimo, enorme flop della dirigenza Kings.

Bagley è entrato nella lega presentandosi come un’ala grande dominante con annesse buone abilità di piedi e mani, giocando 62 partite e collezionando 15 punti, 7.5 rimbalzi ed una stoppata ad allacciata di scarpa. Dopo una più che discreta stagione da rookie davanti al giovane Marvin si è presentato il conto degli infortuni, prima al piede e poi alla mano che gli hanno concesso solamente altre 56 partite nei due anni successivi con un rendimento nettamente inferiore a quelle che erano le premesse.

Risultato? Il 20 ottobre lo staff dei Kings ha annunciato che manterrà Bagley III ai margini delle rotazioni per motivi non ben precisati. Analizzando la scelta e la situazione a Sacramento, questa mossa è quanto meno discutibile. Se il progetto era quello rinunciare a Bagley III sarebbe stato forse più utile scambiarlo prima della scorsa trade deadline quando una scelta numero due ad un draft così recente può rappresentare ancora un certo valore. Valore che è stato ancor più affossato e che porterà ai Kings solo la consapevolezza di aver sprecato, per l’ennesima volta, la possibilità di svoltare il proprio futuro.

Storie diverse che sono però culminate entrambe con la mancata estensione di contratto sono quelle di Mo Bamba e Collin Sexton.

Bamba e la sua prima vera stagione NBA

Il primo è stato scelto da Orlando con la numero 6 il che sottolinea quanto i Magic puntassero su questo giocatore. 213 cm per 104 chili si sono presentati in quel di Orlando come il colosso da alternare con Vucevic per poter variare i quintetti durante le partite ma, anche in questo caso, non tutto è andato come previsto. Mo non è mai entrato nelle grazie dell’ex coach Clifford a causa di una scarsa conoscenza del gioco che gli ha consentito di stare in campo solo per 16 minuti nel primo anno e addirittura 14 nel secondo.
La scorsa stagione Orlando ha deciso di rivoluzionare l’ambiente cedendo tutti i veterani e puntando forte sui propri giovani tra cui, ovviamente, quel Bamba che ha messo in luce tutto il suo potenziale.

Le conferme sono proseguite con la post season e, per quel che può valere, anche con questo piccolissimo squarcio di stagione in cui Mo può stare in campo ben 30 minuti nonostante la presenza di Wendell Carter Jr. Proprio l’ex centro di Chicago, scelto nel solito draft, ha ottenuto un’estensione contrattuale fino al 2026 ed ha precluso a Bamba la possibilità di raggiungere un accordo prima del 18 ottobre.
Quella fatta dagli Orlando Magic potrebbe essere la classica scommessa in cui si spreme un giocatore ancora acerbo a migliorarsi e a mettersi in mostra al fine di convincere la squadra a pareggiare le offerte che le altre franchigie presenteranno durante la prossima free agency. Orlando non ha problemi di spazio salariale e se ne varrà la pena non ci penserà due volte a confermare la fiducia del proprio gigante.

Sexton e Cavs troppo distanti per proseguire ad occhi chiusi

Per Sexton invece la situazione è leggermente diversa. La scelta numero 8 selezionata dai Cleveland Cavs è ciò che di più prezioso è arrivato dalla scellerata trade che ha portato Irving ai Boston Celtics. Collin è arrivato in Ohio a seguito dell’ultima stagione di LeBron e si è ritrovato in mano l’attacco di una squadra in disfacimento. Nonostante ciò il numero due non ha tardato ad esplodere e a mettere in mostra le sue doti di realizzatore. Dopo il primo anno di assestamento (16.7 punti e 3 assist di media) le cifre offensive di Sexton hanno spiccato il volo raggiungendo e superando i 20 punti di media a stagione accompagnati da picchi di onnipotenza come quello contro i Nets dei Big 3 (42 punti di cui 20 di fila nei supplementari).

Qualcosa però pare che si sia incrinato nel rapporto tra Sexton e la franchigia incapaci di soddisfare i rispettivi obbiettivi. I Cavs non vedono in Collin il giocatore capace di poter fargli fare quel salto di qualità necessario per tornare tra le posizioni più ambite. Di contro Sexton avrebbe capito che il progetto a Cleveland è a medio-lungo termine e questo non corrisponderebbe con la sua volontà.
Come per Bamba però questa stagione sarà fondamentale per capire quanto gli interessi delle due parti possano combaciare per decidere se e come pareggiare eventuali offerte nei caldissimi mesi estivi.

Bridges da Most Improved Player: Charlotte dovrà mangiarsi le mani?

Dopo queste prime giornate di NBA risalta anche la situazione di Miles Bridges che non ha trovato l’accordo con gli Charlotte Hornets. Alla base del mancato rinnovo sembra esserci innanzitutto una forte discrepanza tra la cifra proposta e la cifra richiesta ed una maggiore considerazione che il giocatore vorrebbe all’interno dell’associazione.
Le partite di off-season e soprattutto questo avvio di regular season stanno mettendo in mostra un giocatore che, se mantenesse questo rendimento, varrebbe molto di più di quei 20-25 milioni che gli Hornets non hanno voluto concedere a Bridges. Il posto in quintetto guadagnato ed una possibile voglia di rivalsa hanno portato la scelta numero 12 ad incendiare i tifosi di Charlotte anche grazie ad un sistema che da due anni a questa parte è solo lontano parente di quello trovato nel suo anno da rookie.

26.2 punti di media, 8 rimbalzi, percentuali sempre sopra al 50 per cento e 4 partite su 5 sopra 25 punti sono solo le cifre che poco rappresentano la trasformazione di Bridges.
Ormai la decisione è stata presa e gli Hornets potrebbero mangiarsi le mani se durante la free agency arrivassero offerte impossibili da pareggiare. Per loro fortuna le franchigie con spazio salariale disposto ad accogliere un contratto pesante hanno progetti poco interessanti a confronto con quello di Charlotte dove, anche se a cifre inferiori, Miles potrebbe proseguire nella sua perentoria ascesa.

Uno dei migliori draft di sempre?

Storie diverse sono iniziate quel 21 giugno 2018. Storie di giocatori provenienti da ogni parte del globo con il sogno di poter giocare in NBA. Per alcuni le aspettative sono state rispettate e si godono i frutti del proprio lavoro, altri invece sono arrivati al punto in cui devono riconoscere i propri limiti e lasciare per strada parte di quelle ambizioni con le quali sono entrati nella lega. Sicuramente stiamo parlando di ragazzi giovani che possono dare da un momento all’altro un forte scossone alle rispettive carriere in modo da rendere per tutti indelebile il draft del 2018.