Chicago Bulls: l’anno della rinascita per ritrovare la gloria perduta

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I fasti degli anni ’90 sembrano solo un lontano ricordo, le gioie e le speranze dei tifosi sono svanite al suono dell’ennesimo crack emesso dalle gambe potenti quanto fragili di Derrick Rose, l’unico in grado di riaccendere i cuori dei sostenitori dei Bulls, ancorati a Salt Lake City con lo sguardo fisso sui 6 secondi e 6 decimi e con il suono nelle orecchie delle 3 parole più importanti della storia di Chicago: Micheal Jeffrey Jordan.
La città del vento non può permettersi di vivere di ricordi e rimpianti e ha la necessità di essere rappresentata da una squadra che possa dare nuova linfa e nuovi stimoli a una delle città più grandi d’America. Esiste questa squadra? Esiste un progetto in grado di riportare i Bulls a lottare per qualcosa di importante? Qualcosa pare essersi mosso, le idee iniziano ad essere piuttosto chiare e le basi, quelle giuste e solide, sembrano essere state gettate.

Rivoluzione societaria, stabilità di squadra

L’ennesima stagione fuori dai playoffs ha obbligato la dirigenza ad attuare importanti cambiamenti ad ogni livello perché, come spesso accade, per modificare le sorti di una franchigia è necessario partire dall’alto: la prima a saltare è stata la coppia del front office dei Chicago Bulls con John Paxson che ha visto il suo ruolo ridimensionato (da vice presidente a senior advisor), mentre Gar Forman (ex GM) è stato addirittura licenziato. A sostituirli sono stati individuati Karnišovas nel ruolo di vice president of basketball operations e Marc Eversley come nuovo GM. Una volta sistemati gli alti ranghi societari è stata presa la decisione forse più importante per imbastire un futuro quanto meno dignitoso. Come head coach è stato infatti esonerato il deludente Jim Boylen per mettere sotto contratto quello che probabilmente è il miglior allenatore in termini di gestione e sviluppo di un gruppo giovane e ambizioso: Billy Donovan dopo aver dato spettacolo in NCAA ed aver vissuto almeno 4 carriere nei 5 anni alla guida dei Thunder.

Un all-star in città

La stagione di Zach Lavine, il primo all-star dai tempi di Jimmy Butler, può diventare qualcosa di storico visto che sta viaggiando a medie equiparabili a quelle di Larry Bird e Stephen Curry. Non è sempre stato così, anzi: nei primi anni di carriera il numero 8 dei Tori è spesso stato etichettato come un divoratore di possessi, un grandissimo schiacciatore e un realizzatore con tanti punti nelle mani in pochi minuti, poco altro. Aggiungendo mattoncino dopo mattoncino e cercando di cambiare la notevole lista di brutte abitudini accumulate, invece, LaVine è diventato un realizzatore completo, con una selezione di tiro più saggia e una leadership invidiabile.
L’incontrare in questo preciso istante della carriera coach Donovan è stato probabilmente decisivo. Il nuovo coach pare essere riuscito a convincere la sua stella di essere incredibilmente forte ma che, per dimostrarlo, necessitava innanzitutto di un sistema pensato e ragionato su di lui e che, in questo sistema, non aveva bisogno di forzare quei tiri che gli scorsi anni inspiegabilmente si prendeva:

Penso che per LaVine si tratti di un processo di apprendimento. Siccome è così talentuoso, tante volte pensava “datemi la palla e proverò a vincere la partita”. Ha capito che così non funziona.

Anticipare le tappe

Come sfruttare un coach cosi preparato ed una superstar in rampa di lancio come Zach Lavine? Semplice, mettendoli in condizione di performare nel miglior modo possibile. La prima mossa è stata invertire il trend degli ultimi anni al Draft andando a prendere un giocatore magari con minor talento ma con maggiore funzionalità. Patrick Williams non era certamente il quarto giocatore più talentuoso da poter scegliere ma la sua attitudine difensiva, la sua duttilità in campo e la sua etica del lavoro lo hanno reso il profilo migliore da poter inserire in un gruppo che certamente non vantava la miglior difesa della lega.
Il secondo passo è stato quello di intervenire sul mercato portandosi a casa l’unico All-Star “in vendita”, Nikola Vucevic, esodato da Orlando, che però è “costato” una parte del futuro dei Bulls: due prime scelte (protette in top-4) nel 2021 e nel 2023 e un prospetto interessante quanto acerbo come Wendell Carter Jr. Con questo scambio, che ha portato anche un veterano come Aminu, i Bulls sono usciti allo scoperto mettendo a nudo le loro ambizioni di Play-off.

Vucevic risponde perfettamente alle esigenze che aveva la squadra, ovvero affiancare a LaVine un altro giocatore in grado di mettere punti a tabellone togliendogli così un po’ di pressione (e un po’ di possessi) e costringendo le difese a concentrarsi non esclusivamente su di lui. Il montenegrino viaggia a 25 punti e 11 rimbalzi di media, nella metà campo offensiva è di una efficienza spaventosa ma nella metà campo difensiva resta un problema perché attaccabile praticamente da tutti sui pick ‘n roll. In suo aiuto potrebbe arrivare Daniel Theis che porta in dote una discreta presenza sotto il tabellone e un dinamismo che ai Celtics è servito un bel po’ nelle ultime stagioni. I dubbi invece permangono sulla possibile coesistenza di “Vooch” con l’altro lungo europeo a roster, Lauri Markkanen, che sembra sempre più ai margini del progetto e che in estate da free agent potrebbe cambiare aria.

Chicago si trova al momento in decima posizione, con un record di 21-28 all’ultimo posto disponibile giocare il play-in. La chimica con i nuovi inserimenti va ancora trovata ovviamente, ma a Windy City non c’è moltissimo tempo e mancare un eventuale play-in visti gli sforzi effettuati per portare Vucevic sarebbe un fallimento totale per la società, anche in ottica futura se la volontà sarà quella di attirare qualche free agent puntando su cultura, programmazione e ambizioni.
Ecco perché raggiungere la postseason diventa quasi un obbligo per i nuovi Bulls: per continuare a programmare, per continuare a migliorare, per riprendere a sognare e per riaccendere quei cuori che si sono spenti nello stesso momento in cui si sono spente le luci del palazzetto a Salt Lake City il 14 giugno del 1998.