Dalla band Nuggets a front-man dei Pistons: Jerami Grant è una star?

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Prima di parlare delle origini, dello sviluppo e dell’ascesa di Jerami Grant provate un secondo a pensare ad un grande batterista o ad un grande chitarrista di una band di successo. Immaginate che questo abbia uno spiccato talento, una buona presenza scenica e delle ottime doti canore unite ad una irrefrenabile voglia di sfondare e di farsi notare al pubblico per quello che realmente è. Cosa può fare tale artista? Rimanere nel gruppo che lo ha reso qualcuno o tentare una carriera da solista sotto le luci della ribalta. Nel caso di Jerami barrate l’opzione B e sappiate che, almeno fino ad oggi, ha avuto pienamente ragione nonostante le maggiori difficoltà che la sua scelta gli porterà nel corso della sua carriera. Ma adesso usciamo dalla metafora e addentriamoci in quella che è la storia e la prospettiva di uno dei nomi più in ascesa di tutto il panorama NBA.

Il basket nel sangue

Houston Jerami Grant nasce a Portland nel 1994 e, se il cognome vi risulta familiare, non vi sarà necessario un grosso sforzo di memoria perché il ragazzo altro non è che il nipote di Horace Grant ovvero uno dei più grandi giocatori di sistema che il ‘900 abbia presentato ai nostri occhi. Oltre al più noto zio Horace anche il padre di Jerami, Harvey, è stato una figura rilevante nella pallacanestro NBA e tutto ciò spiega l’attitudine innata di Grant verso questo sport.

Vita da comprimario

Nonostante il famoso albero genealogico, la strada tra i professionisti non è certo stata ricca di rose e fiori. Viene infatti scelto nel draft del 2014 alla numero 39 da dei Sixers in totale ricostruzione e con obiettivi poco stimolanti per un giovane pieno di energia e di esuberanza. Dopo 2 anni non certo emozionanti Grant viene ceduto ai Thunder passando da una squadra con poche ambizioni ad una che, in pochi mesi, ha visto prima sfumare la possibilità di battere gli invincibili Warriors in finale di conference per poi, a distanza di alcune settimane, perdere il loro miglior giocatore a favore proprio della compagine che li aveva eliminati ai Playoff. In questo contesto Jerami ha mostrato definitivamente tutto quello che può fare di importante su un campo da basket. In un NBA dove si guarda molto (forse troppo) schiacciate detonanti, crossover ubriacanti e tiri da 3 da distanze sempre maggiori, Grant ha garantito a Westbrook e compagni tutte quelle piccole cose che magari passano inosservate ma che sono fondamentali per la costruzione di una squadra che ambisce ad un posto al sole. Proprio in quel di Oklahoma si è formata la perfetta figura del comprimario, del sesto uomo capace di vincerti le partite nella metà campo difensiva grazie alle straripanti doti atletiche unite a letture del gioco sorprendenti per l’età e ad un tiro dalla distanza sempre più rispettabile.

Dopo 3 anni però, una volta fallito il progetto Westbrook-George i Thunder decidono di “regalare” Grant ai Denver Nuggets consentendogli così di unirsi alla giovane coppia Jokic-Murray e ad una squadra con solide basi ed obbiettivi ben chiari. Se la stagione di Grant in quel di Denver è stata poco più che normale, la bolla di Orlando ha evidenziato quanto Jerami fosse importante per la franchigia ed i risultati ottenuti dalla squadra (sconfitta 4-1 in finale di conference contro degli insuperabili Lakers), portano sicuramente anche la sua firma. Firma che però non è arrivata sul rinnovo contrattuale presentatogli dai Nuggets esponendolo così al selvaggio mondo della free agency. Molto probabilmente 29 GM avevano annotato il nome di Grant nelle primissime posizioni della lista degli acquisti presentando offerte diverse in base alle possibilità e alle necessità delle varie franchigie. Le contender (Lakers, Clippers e Heat su tutti) garantivano la possibilità di competere per l’anello a discapito, ovviamente, di cifre contrattuali inferiori mentre, le squadre di bassa classifica, portavano in dote un bel gruzzoletto per compensare gli anni di purgatorio che lo avrebbero aspettato.

Essere star: oneri e onori

In questo contesto Grant prende la sua decisione, rinunciare alla vita da batterista per abbracciare quella da front-man accettando l’offerta da 60 milioni in 3 anni ricevuta dai Detroit Pistons. Tale volontà è avvalorata dal secco NO riservato ai Nuggets che comunque avevano pareggiato l’offerta dimostrando quanto la voglia di provare l’esperienza da uomo-franchigia prevalesse sulle sue necessità economiche.

Ed è così che Jerami Grant torna in una squadra in completa ricostruzione, con obiettivi poco stimolanti e con ambizioni rivedibili ma, al contrario del 2014, non lo vuole fare in punta di piedi ma con la faccia tosta di chi ha deciso di mettersi alla prova in un ruolo che solo il futuro ci saprà dire se può essere realmente il suo. In questo avvio di stagione i primi risultati iniziano a vedersi sia nei numeri (i più alti in carriera in tutte le voci statistiche) che nell’atteggiamento da leader il quale viene piano piano sperimentato ed affinato. Per le sole cifre parliamo di 16 partite da titolare sulle 16 disponibili durante le quali Jerami ha calcato il parquet per 36 minuti di media condendo le sue serate con 24.3 punti, 6.4 rimbalzi, 2.7 assist, 1 stoppata ed 1 rubata. Come al solito però, nonostante le cifre siano molto indicative sulle prestazioni del giocatore, spesso sono fuorvianti a meno che non si vadano ad analizzare indici statistici che non vado a spiegare in questa sede per non appesantire la lettura del testo.

Quello a cui ci affidiamo quindi è il buon vecchio occhio che ci permette di individuare il vero salto di qualità che deve fare questo ragazzo per dare alla sua carriera la svolta desiderata. Questo piccolo scampolo di stagione sta dando le risposte sperate in quanto Grant sta mettendo in mostra leadership dentro il campo non facendo mancare però la solita energia a disposizione dei compagni. Fuori dal campo deve essere bravo a sfruttare la presenza in spogliatoio di due super veterani come Rose e Griffin che ne hanno passate tante in questo ambiente e che sapranno certamente guidarlo nella gestione di atteggiamenti, frasi e dichiarazioni che avranno molto più peso di quello che avevano fino ad ora. Questo perchè sorreggere una franchigia sulle spalle non vuol dire solamente prendersi i tiri decisivi o avere la palla in mano più tempo rispetto ai compagni. Vuol dire essere sempre nell’occhio del ciclone, essere sempre pronto a ricevere critiche e non subirne il peso. Vuol dire lavorare più degli altri al fine che i compagni ti prendano come esempio e siano a loro volta spronati a tirar fuori il 110%.

Per giudicare questi aspetti è ancora troppo presto, sicuramente l’ambiente di Detroit può dar tempo e modo a Grant di plasmare questa nuova figura che ha deciso di cucirsi addosso, di sbagliare, di rialzarsi e di esaltarsi. Solo il tempo può darci la risposta ma sicuramente Jerami Grant, come una grande star della musica, ha tutte le potenzialità per riempire i palazzetti.