I protagonisti della settimana NBA: Hawks in volo verso i playoff, Mavericks appesi ad un filo

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Atlanta Hawks - © 2016 twitter/ATLHawks
Atlanta Hawks – © 2016 twitter/ATLHawks

Non saranno una squadra vincente, ma per il nono anno consecutivo gli Hawks timbrano il biglietto per i playoff. E, dopo la vetta ad Est con 60 vittorie annesse dell’anno passato, sono di nuovo tra le prime forze di una Conference in crescita esponenziale. Eppure, la filosofia e lo spirito sono cambiata quasi completamente. La meravigliosa squadra, soprattutto in termini di costruzione del gioco, che aveva sorpreso tutti lascia spazio ad un team che cerca una propria identità prima di tutto in difesa. La macchina offensiva che l’anno passato produceva 106.2 punti ogni 100 possessi, quest’anno ha perso parte del proprio smalto, pur restando al secondo posto assoluto per assist a partita, ben 25.7. Le altre formazioni, grazie agli esempi visti nei playoff dell’anno scorso, hanno studiato come fermare Atlanta. Gli interpreti sono diversi, considerando la partenza di DeMarre Carroll verso Toronto, il difficile inizio di stagione di Jeff Teague, la mancata integrazione di Thiago Splitter nel meccanismo di squadra e così via. Eppure, invece che continuare ad insistere, coach Mike Budenholzer ha spinto gli Hawks a migliorare costantemente l’altra fase, spendendo la maggior parte degli allenamenti a lavorare su schemi difensivi. Di qui i soli 98.9 punti subiti a partita e 98.8 ogni 100 possessi, non a caso 4.6 in meno di quanti ne produce un attacco comunque in crescita con il passare del tempo.

Il nostro attacco è calato, quindi la nostra difesa è dovuta crescere per forza“, ammette Kyle Korver sulla necessità di dare tempo affinché la transizione offensiva fosse completata. Le figure fondamentali attorno a cui far ruotare il lavoro difensivo sono Paul Millsap ed Al Horford, una coppia ala grande-centro che, in quanto a velocità, non ha rivali nella Lega. Budenholzer li usa spesso per intrappolare i portatori di palla avversari intorno all’arco durante i pick-and-roll, convinto che possano tenerli a bada e nel caso rientrare poi ai loro compiti usuali. Il dato incredibile, per un allenatore che basa il proprio credo su quello del maestro Popovich, è che gli Hawks forzino la bellezza di 9.2 palle rubate a partita, il secondo miglior dato nella Lega dopo le 10 dei Rockets. Il coach afferma infatti: “La questione dei turnover è molto strana per me, non me la sarei mai immaginata in vita mia”. Ed incredibilmente Atlanta è furtiva, ma assai poco fallosa, risultando tra le ultimissime squadre per liberi concessi agli avversari rispetto ai canestri tentati. Il risultato è un fantastico terzo posto in Eastern Conference, con un record di 45 vittorie e 30 sconfitte, salito vertiginosamente nel corso dell’anno. Chapeau.

Chi rischia di salutare i playoff dopo averli raggiunti in 14 delle ultime 15 annate, sono i Mavericks, puniti da un finale di stagione di crisi nera, specchio di un roster che ha buchi tangibili e, comunque vada, non può permettere un grande salto di qualità rispetto alle tre eliminazioni consecutive al primo turno di post-season vissute dal titolo NBA del 2011 a questa parte. Il primo tra questi è, senza dubbio, la mancanza di un centro affidabile. L’arrivo di David Lee in sede di free agency garantisce un ottimo rendimento di 10.2 punti e 7.4 rimbalzi, oro colato per una squadra che ad oggi si stanzia al numero 19 nella statistica complessiva, in appena 18 minuti e mezzo di impiego, ma non può garantire il salto di qualità che avrebbe consentito un DeAndre Jordan qualunque. Dirk Nowitzki non può e non deve essere il problema, considerando che a quasi 38 anni è in grado di stampare ancora il miglior score di squadra per punti segnati (18.5), con prestazioni al tiro più che accettabili (46% dal campo, 38% da oltre l’arco) ed una voglia mai doma: “Mi sono sentito bene quest’anno. L’anno successivo al prossimo di contratto sarebbe il numero 20 in NBA. Suona alla grande, vorrei continuare“.

 

Le scelte di coach Rick Carlisle stanno virando, in questo problematico finale di stagione, verso una fiducia sempre crescente data alle nuove leve, decisive in particolare nell’ultima uscita vincente contro i Nuggets. Dwight Powell e Justin Anderson, che in due fanno meno di 25 minuti di media sul parquet, hanno invece preso parte a gran parte della sfida contro Denver ed unito le forze per 27 punti, 11 rimbalzi, 3 palle recuperate e 3 stoppate. A mali estremi, estremi rimedi. Benedice la scelta Wunderdirk: “Non facciamo dell’atletismo la nostra forza, quindi questi due giovani possono esserci di grande aiuto“. Con Chandler Parsons fuori per il resto della stagione, Anderson resta l’unica ala sana ed in forze, mentre Powell può guadagnare tanto spazio se sale di colpi in un ruolo, come detto, poco felice al momento a Dallas. I texani, se vogliono riguadagnare un posto tra le prime otto in Western Conference, al momento distante un soffio tanto dai Jazz quanto dai Rockets, dovranno cominciare col migliorare una fase difensiva che concede 103.9 punti a partita ed è nelle retrovie nel complesso della Lega. Se son rose, fioriranno. Altrimenti ci si vede l’anno prossimo.

articolo aggiornato al 30/03