NBA Awards 2018: LBJ-Harden per l’MVP, volata Simmons-Mitchell per il miglior rookie

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James Harden – Lebron James

A pochi giorni dalla conclusione della stagione regolare NBA, ad infiammare i dibattiti televisivi e giornalistici, oltre la bagarre playoff e le previsioni per la post-season, c’è la futura assegnazione degli NBA Awards 2018, datata per il 26 giugno prossimo venturo. Proviamo, sulla base delle prestazioni offerte, ad offrire un’analisi di quelli che potrebbero essere i candidati per ciascuna categoria di premio.

Most Valuable Player (MVP)

Da 3 stagioni sempre in corsa, ma ancora mai vittorioso, James Harden si presenta nuovamente tra i grandi favoriti al premio di miglior giocatore della regular season. Lo fa da leader della squadra con il miglior record della Lega, lo fa da top scorer dell’intera NBA (30.7 punti), a cui aggiunge mediamente circa 9 assist e 5.5 rimbalzi. Successo scontato per il “Barba” se non fosse per la presenza di LeBron James, che a 33 anni suonati sta disputando, a detta sua, la migliore stagione in carriera (28 punti + 9 assist + 8.5 rimbalzi), rappresentando l’ancora a cui i Cavs si aggrappano per coltivare il sogno del titolo. Per di più ha recentemente superato Michael Jordan per numero di partite consecutive in doppia cifra: 867! Un gradino più in giù si trova Anthony Davis, che dopo il tremendo infortunio occorso a Demarcus Cousins, ha assunto l’onere di trascinare i Pelicans ai playoff, con medie da 28 punti, 11 rimbalzi e 2.5 stoppate a partita.

Most Improved Player (MIP)

Non ci sono grossi dubbi su chi sia il giocatore maggiormente migliorato rispetto alle precedenti stagioni: è Victor Oladipo. Smaltito il mezzo flop prodotto ad OKC, sembrano lontanissimi i tempi di Orlando, quando Payton e Fournier lo relegavano ad un ruolo da sesto uomo. Adesso è diventato il leader degli Indiana Pacers, ha conquistato la selezione per l’All Star Game, parteciperà ai playoff: con 23 punti di media, a cui aggiunge 4 assist e 5.5 rimbalzi a partita, la sua carriera è ufficialmente ricominciata.

Rookie of the year

In tandem con l’assegnazione dell’MVP, la scelta del miglior rookie della stagione anima i dibattiti di mezzo mondo, divisi fra chi propende per la sicurezza e l’eleganza di Ben Simmons e chi predilige l’esplosività e l’energia di Donovan Mitchell. L’australiano, dopo una stagione in infermeria, ha preso il timone dei nuovi Sixers, riportandoli ai vertici della Eastern Conference. Mitchell, invece, rappresenta la vera sorpresa della regular season, lo steal of the draft (scelto alla 13), trascinando i suoi Jazz ad un finora insperato piazzamento playoff. Una cosa è certa: il futuro è loro!

Defensive Player of the Year

La griglia di favoriti come miglior difensore della stagione appare ancora piuttosto nebulosa. Paul George, che fino a qualche settimana fa sembrava essere il favorito, resta in corsa (con le sue 2.07 palle rubate di media), ma l’efficienza difensiva dei Thunder è calata. Draymond Green e Kevin Durant si contendono la palma come leader difensivo nella Baia; poi ci sono i lunghi, Anthony Davis e Rudy Gobert, straordinari nella difesa del pitturato (con circa 2.5 stoppate di media a testa). Possibile sorpresa? Joel Embiid, asse portante del sistema difensivo dei Sixers, eccellente nel pitturato, discreto nella difesa perimetrale.

Sixth Man of the Year

Dall’inizio della stagione il grande favorito continua ad essere Lou Williams, diventato da sesto uomo leader tecnico dei Los Angeles Clippers, che continuano a coltivare il sogno playoff nonostante una situazione di apparente re-building. Sweet Lou è top scorer del suo team e sedicesimo in NBA (22.7 punti di media), scendendo in campo abbondantemente oltre i 30 minuti a gara; le sue finora 19 apparizioni in quintetto non dovrebbero influire sulla valutazione. Più staccato, ma sempre da considerare, è Eric Gordon, già detentore del titolo e arma letale dell’attacco di Houston (19 punti di media).

Coach of the Year

I tre nomi attorno ai quali si concentra l’attenzione degli esperti sono Dwayne Casey, Brad Stevens e Mike D’Antoni, già vincitore nell’edizione 2017. Il Coach di Toronto ha dalla sua il sorprendente primo posto nella Eastern Conference, guadagnato grazie ad rinnovamento del sistema di gioco ed un miglioramento costante di tutti i componenti del roster. Occhio, però, alla rimonta di Stevens, saggio nel tenere botta al tragico infortunio occorso a Gordon Hayward e mantenere i Celtics una seria pretendente al titolo.

Mike D’Antoni – © 2018 twitter.com/houstonrockets

Come detto, però, impossibile non considerare Mike D’Antoni: semplicemente l’artefice del successo di Houston, team che guarda per il momento tutte le altre franchigie dall’alto in basso.

Executive of the Year

Pochissimi dubbi su chi sia il miglior manager dell’anno: Danny Ainge dei Boston Celtics. Considerato pazzo per aver smontato parte del quintetto dell’annata precedente, liberandosi di Isaiah Thomas, Jae Crowder e Avery Bradley, ha puntato le sue fiche sulla voglia di cambiare aria di Kyrie Irving, che sulle rive dell’Atlantico ha ottenuto la definitiva consacrazione. Ha scambiato la prima scelta assoluta al Draft, ottenendo in cambio un’ulteriore pick futura e i diritti su Jason Tatum, rookie diventato rapidamente imprescindibile per i meccanismi del team. Aveva pure strappato un tale Gordon Hayward durante la scorsa free agency…