I protagonisti della settimana NBA: Lillard superman dei Blazers, Smith kryptonite dei Rockets

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Damian Lillard - © 2016 twitter/Ballislife
Damian Lillard – © 2016 twitter/Ballislife

Se c’è un giocatore on fire in questo momento in NBA, risponde al nome di Damian Lillard. Non soltanto sul parquet, dove sta dimostrando di voler portare i Blazers ai playoff prendendoseli letteralmente sulle spalle, ma anche fuori dal campo, tanto a voce quanto su Twitter. Nessuno è in uno stato di forma pari al prodotto di Weber State.

Nelle ultime dodici partite, Portland ha vinto undici volte, di cui le ultime sei consecutive, e le prestazioni della sua stella sono state a dir poco pazzesche: 28 punti di media, sempre oltre i 30 punti nelle ultime cinque sfide giocate, primo a riuscirci quest’anno e secondo nella storia della franchigia dopo Geoff Petrie nell’anno 1970/71, oltre che autore di 51 punti, 7 assist e 6 palle rubate contro i Warriors, come mai nessuno era riuscito a fare nella storia NBA contro una squadra campione in carica. E si parla di una squadra che, finora, ha perso appena 5 partite su 55, di cui ora una contro i Blazers. Non male per un giocatore cui la società ha tolto i restanti quattro componenti del quintetto titolare in offseason, preannunciando una stagione di transizione in cui le gioie sarebbero state ben poche. Si sono dimenticati di spiegarlo a Lillard, però.

Ad uno stato di forma comunque già eccezionale e capace di 24.3 punti e 7.1 assist, si è aggiunta la rabbia per non essere stato selezionato all’All-Star Game, nemmeno tra le riserve. La sua reazione è stata da campione ed ora i Blazers, con un record di 30-27, si godono il settimo posto in Western Conference, a pari merito con i Mavericks, un gradino più in su. Lillard è semplicemente immarcabile al momento, segna ogni genere di canestro, vuole il pallone nei momenti chiave del match e, nonostante ormai le difese si stiano provando ad adeguare al suo strapotere, continua a volare sistematicamente oltre i 30 punti. Nelle otto partite del mese in corso il suo net rating parla di +17.6 ogni 100 possessi (115.7/98.1). Se non si può dire sia un reale candidato per il titolo di MVP, ormai praticamente già nelle mani della stella degli irreali Warriors, bisogna comunque considerarlo nel lotto. E se non dovessero bastarvi 25.1 punti di media (30.1 tirando con il 46% a febbraio!), con 4.2 rimbalzi e 7.2 assist a partita, 15 di PIE ed una squadra che lui e C.J. McCollum stanno rendendo qualcosa di speciale, sarete forse d’accordo con chi lo ha escluso dalla partita delle stelle. E non so fino a che punto questo possa essere considerato un complimento.

C’era una volta l’estate del 2013, in cui i Pistons prelevarono Josh Smith dagli Hawks donandogli un contratto da 54 milioni di dollari per le successive quattro stagioni. Doveva essere la svolta, tanto per la squadra in cerca di una stella, quanto per la carriera del giocatore. La svolta c’è stata, ma è stata una discesa agli Inferi che probabilmente non è destinata ad avere mai più un esito felice. In estate i Clippers speravano di essersi assicurati delle buone performance fuori dal quintetto da colui che, almeno per qualche stagione, ad Atlanta ha fatto la differenza. La differenza, così come la svolta, l’ha fatta Smith, ma nel momento in cui ha lasciato la Città degli Angeli, permettendo alla panchina di salire in termini di produzione di 9.2 punti, con 3.7 punti di plus/minus in più e notevoli miglioramenti al tiro, come si evince dalla foto qui sotto. I Rockets, che nel delirio in questa stagione disastrosa hanno pensato fosse utile andarsi a cercare un altro problema, hanno ovviamente ottenuto l’effetto opposto, richiamando Smith nel proprio roster. Se la differenza di punti può ancora essere accettabile e dovuta al periodo negativo, è assurda una differenza del 6% al tiro e del 7.5% da oltre l’arco, uno dei sintomi che la carriera del numero 5 stia davvero toccando il fondo.

Josh Smith - © 2016 twitter/nbaayy
Josh Smith – © 2016 twitter/nbaayy

In stagione Smith sta giocando poco più di un quarto d’ora a partita (15.5 minuti) e segna la miseria di 6.1 punti di media, il minimo in carriera, quasi 4 punti in meno rispetto anche alla sua stagione da rookie. Le percentuali al tiro, come era immaginabile dai dati esposti qui sopra, sono irrisorie e parlano di un 36% dal campo, che diventa la miseria di 28.7% da oltre l’arco. Il net rating esplicita chiaramente il motivo del suo scarso utilizzo, considerando che non si spinge oltre i -7.4 punti ogni 100 possessi, con un terribile 94.3 in termini di offensive rating. I Rockets oscillano pericolosamente intorno ad un record ora positivo ora negativo ed al momento sono scesi sotto il 50% (29-30). Nella notte hanno perso l’ottavo posto in Western Conference a favore dei Jazz perdendo proprio a Salt Lake City. Smith ha preso parte a 19 minuti nella sfida, segnando 8 punti e risultando colpevole di ben 3 palle perse. Per non farsi mancare nulla si è reso protagonista di una comica azione in cui ha commesso un’infrazione di circa 15 passi (non fischiata!), che ha già fatto il giro del web. Non certo il modo migliore per ritornare sotto i riflettori.

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