Anthony Davis: the New Revolution?

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Gli amanti della palla a spicchi sanno che Chicago non è una città come le altre: anche se negli ultimi trent’anni, i tifosi dei Bulls hanno assistito alla straordinaria epopea di Michael Jordan, Scottie Pippen, Phil Jackson e Tex Winter, la malattia del basket ha contagiato anche quegli scampoli della Windy City che sono sempre rimasti lontani dallo Stadium e, poi, dallo United Center. Dalle zone più povere del West Side sono usciti atleti e giocatori di livello mondiale: qualche esempio? Sul perimetro del ghetto nero si stagliano le figure di Isiah Thomas e Dwyane Wade e la sfortunata stella di Derrick Rose che cerca di liberarsi dal peso dei suoi mille infortuni; nello stesso momento, la sagoma prodigiosa di Kevin Garnett emerge in ogni posizione del campo. Non a caso, molti dei suoi primi osservatori, quando videro la facilità con cui quell’esplosivo smilzo che veniva dal profondo Sud riusciva a muoversi con l’agilità di un piccolo e la forza di un lungo, gli diedero un soprannome molto pesante: The Revolution. Già da solo, quel nickname nascondeva parecchie aspettative piuttosto insidiose; la sua storia – e la leggenda di Bill Russell, il suo primo portatore – avrebbero atterrito chiunque. Non KG: il salto dall’high school alla NBA non spaventò questo fascio elettrico di muscoli; le sterili stagioni da MVP nel gelo di Minneapolis non soffocarono la sua voglia di vincere. Quando Garnett si trasferì a Boston per ridare slancio alla franchigia che era stata esaltata dal carisma del grande Bill Russell, mostrò al mondo intero la forza interiore che lo aveva fatto uscire dalle difficoltà della sua infanzia e che lo aveva reso uno dei migliori giocatori del pianeta. Trasformò una squadra incerta in una corazzata. Vinse e convinse.

Anche se i tifosi di Chicago non hanno mai avuto il piacere di vederlo con la maglia dei Bulls, la sua eredità ha continuato a soffiare nel vento della città: da un paio di stagioni, alcuni addetti ai lavori sostengono che un altro smilzo esplosivo sia riuscito a fermarla e a caricarla sulle sue spalle. Il suo nome è Anthony Marshon Davis. Qualche anno fa, la sua prodigiosa crescita fisica ha sorpreso l’universo cestistico dei licei dell’Illinois; oggi, la sua maturazione cestistica fa sognare i nuovi Pelicans di Tom Benson. Anche se New Orleans fa parte del Wild West ed è ancora lontana dalla zona-playoffs, la sua franchigia è uscita dal commissariamento e dalle sabbie mobili tecniche in cui era sprofondata dopo la partenza di Chris Paul. Da buon figlio della città del Vento, il segreto di Pulcinella della rinascita cestistica della Big Easy veste il suo fisico asciutto e reattivo con la maglia numero 23; dopo una stagione d’esordio caratterizzata da alcuni problemi fisici e da un minutaggio relativamente contenuto, il ventenne Anthony Davis ha cominciato il suo anno da sophomore con la lieta furia di un uomo che sa di avere nel suo destino le chiavi del futuro della NBA.

L’esplosione del suo rendimento ha premiato la pazienza e la gestione ponderata di Coach Monty Williams, che ha preferito preservarlo da un utilizzo eccessivo e dalle pressioni più forti per evitare che migliaia di critiche prive di senso tarpassero le sue giovani ali. Dopo le prime arrabbiature, Davis ha capito la linea del suo allenatore e ha sposato la sua filosofia. Risultato? Boom!
L’ennesimo infortunio – una frattura alla mano sinistra – non ha fermato la sua corsa ai vertici della Lega: 20.2 punti, 10.2 rimbalzi, 52% dal campo, 3 stoppate (nettamente primo in NBA) sicurezza, determinazione: l’impatto di questo six-feet-ten-inches sul parquet supera di gran lunga la sua clamorosa apertura alare e la notevole facilità con cui apprende nuovi aspetti del gioco. Le sue azioni non sono passate inosservate neppure all’Olympic Tower: il neo-Commissioner Adam Silver ha approfittato dell’infortunio di Kobe Bryant e lo ha selezionato per l’All Star Game. Anthony Davis ha difeso i colori dell’Ovest nella “sua” New Orleans e ha deliziato il pubblico con una grande schiacciata assistita dal grande ex della Big Easy, Chris Paul.

Le sue lunghissime braccia saranno le ali dei Pelicans? Riusciranno a mettere la Louisiana sulla mappa più prestigiosa della NBA e a giustificare le opinioni dei tanti che le hanno paragonate a quelle di Kevin Garnett? Ai prossimi due lustri l’ardua sentenza.